I nostri attimi sfuggiti

Distante giunge quel pensier che il mirar più non segue, 
e lieto su ali di vivide rondini adagio incede. 
Nel fulgido chiaror di tenue alba pian pian discende, 
assai gremìto di silenti frèmiti e trepidanti sussulti, 
a sfiorar quel fresco cristallo di chete acque, 
cosi intimo e vivente che al cuor sovviene. 
Blandito dalla mite aura d'april a quietar tormente d'aspre stille, 
una casta fragranza di glicine attorno effonde, 
che scabramente firmò la sincera pelle nostra a fragor di scintille. 
Chiaro e ormai smarrito appare quel che poteva e non fu, 
quel che gioiva e non colse, 
quel che adorava e non ebbe. 
Nel verbo di spine al fiele l'incanto d'acchito sbasì, 
e un cupo abisso di arcani segni quel pensier pacatamente seguì. 
Ma ardenti come lumi nel ciel son quegli istanti di beltà e letizia, 
che il riso e il sentier rinfrancano e il pallido oblio rinnegano. 
Se lezioso lo sguardo stette, avulso il viver non fu, 
e ciò che il tempo arguto ancor lambisce, 
in un soffio di tonante luce la mente cinge, 
quand'ecco che pago fu quell'occulto e canuto pensier 
che al calar del turbamento ossequia e rifiorisce.

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